Tratto da corriere della sera: https://pochestorie.corriere.it/2019/05/10/alpini-sul-cappello-sul-cappello-che-noi-portiamo/
10 MAGGIO 2019 | di Silvia Morosi e Paolo Rastelli | @MorosiSilvia @paolo_rastelli
«Sul cappello sul cappello che noi portiamo, c’è una lunga, c’è una lunga penna nera». Che poi, non è sempre nera. Lo è per i soldati e i sottufficiali, visto che è di corvo. Ma per gli ufficiali inferiori (da sottotenente a capitano), diventa marrone, di aquila. E per quelli superiori (da maggiore in su) è d’oca, quindi è bianca. Il cappello (o berretto, meglio, visto che stiamo parlando di militari) piumato è tra i più famosi copricapi dell’esercito italiano insieme a quello dei bersaglieri, piumato anche lui ma grazie all’abbondante «regalo» di un volatile asiatico chiamato «gallo d’india». Dal 10 al 12 maggio 2019 Milano si riempie di penne nere grazie all’adunata degli alpini, l’adunata del centenario visto che la loro associazione fu fondata nel 1919 all’indomani della Prima guerra mondiale. Il berretto alpino, però, è in uso fin dalla costituzione del corpo, nel 1872.
Piume e pennacchi – Innanzitutto perché vennero scelte le piume? Come viene spiegato qui con dovizia di particolari, l’uso delle piume sui cappelli e più in generale sui capi di abbigliamento, si diffuse in Europa nel corso del XVI secolo in relazione alle scoperte di nuovi territori, ricchi di uccelli esotici, da parte dei colonizzatori europei. Quindi adornarsi di piume diventò rapidamente un simbolo di ricchezza e apertura alle nuove scoperte, insomma di modernità. Questa moda sparì dal mondo borghese verso la metà del XVII secolo, ma trasmigrò sotto varie forme in quello militare. Probabilmente ciò accadde per rendere i soldati più alti e maestosi (e quindi più temibili) e fors’anche per influsso di altre culture in cui alcuni uccelli erano ritenuti di origine divina e quindi adatti a ornare le teste dei guerrieri più valorosi (basti per tutti l’esempio dei nativi americani). Inoltre serviva anche a rendere le uniformi più appariscenti e quindi a invogliare i giovani ad arruolarsi in un periodo in cui non c’era la coscrizione obbligatoria.
Corpi d’elite – Fatto sta che da allora e fino all’inizio del Novecento, sui copricapi militari, soprattutto quelli delle alte uniformi, ci fu un profluvio di penne e piume. Durante il periodo napoleonico (1795-1815) , quando venne istituzionalizzato l’impiego della fanteria leggera d’élite in ordine sparso davanti ai ranghi chiusi della fanteria di linea (ne abbiamo parlato qui), il modello nella vita civile preso a riferimento fu quello dei cacciatori, ossia uomini che per definizione sapevano sparare (ancora adesso i fanti leggeri in tedesco si chiamano Jäger, appunto “cacciatori”). L’immagine classica del cacciatore aveva un cappello con piumetto che trasmigrò pari pari nell’uniforme della nuova specialità. Gli alpini sono fanteria leggera da montagna ed ebbero la penna.
Copricapi e libertà – Per il loro berretto venne inizialmente scelto quello cosiddetto «alla calabrese» o «all’Ernani», dal nome della tragedia verdiana (1844) nella quale un giovane pastore ribelle si oppone alla tirannia spagnola indossando un cappello tondo e con la piuma. Insomma, come spesso accadde per Giuseppe Verdi, una sua opera divenne un simbolo di libertà, perfino in termini di abbigliamento. Il cappello alla calabrese (tondo a tesa larga, talvolta con un lato ripiegato in su, molto simile peraltro a quello portato dai briganti ottocenteschi in quasi tutto il Meridione italiano) fu talmente identificato con le istanze libertarie e indipendentiste che la famosa pasionaria risorgimentale Cristina Belgiojoso Trivulzio si fece ritrarre così abbigliata. Il 15 febbraio 1848 il capo della polizia milanese, austriaco come tutta la Lombardia, ne vietò l’uso in pubblico perché troppo «libertario». Un cappello dello stesso tipo, si racconta qui, venne anche usato dai Cacciatori delle Alpi di Pier Fortunato Calvi in Cadore, nel 1848.
Feltro nero – Insomma, niente di strano che i primi Alpini, fanteria leggera di uno Stato che trovava la sua legittimazione nel Risorgimento, ricevessero un cappello simile: era di feltro nero, a tesa larga, di forma tronco conica con cupola a bombetta; la penna nera era appuntata sul lato sinistro sotto una coccarda tricolore e sul davanti aveva, come fregio, una stella a cinque punte di metallo bianco. Nel 1880 ci fu il primo cambiamento: il fregio anteriore diventò un’aquila con le ali aperte ma con la loro punta in basso, sovrastante una cornetta (il simbolo della fanteria leggera) e un trofeo con fucili incrociati, ascia, piccozza e corona di foglia d’alloro e di quercia. La coccarda tricolore fu spostata anch’essa sul davanti. Infine, nel 1910, in concomitanza con i primi esperimenti di colori mimetici delle uniformi legati alla storia del plotone grigio, il cappello divenne quello che conosciamo: cupola tonda, tesa anteriore abbassata e posteriore rialzata, feltro di pelo di coniglio con colore grigioverde di nuance variabile, penna sul lato sinistro infilata in una nappina di lana con il colore che indicava il battaglione all’interno del reggimento. Dal 1912 il fregio divenne quello attuale: aquila ad ali spiegate sopra la cornetta, con il numero del reggimento nel tondo.
Fedeltà a tutta prova – Un’ultima curiosità: quando dopo l’unità d’Italia si passò alla coscrizione obbligatoria, il governo decise di applicarla su scala nazionale, destinando i soldati in zone anche molto lontane da quelle di origine. In altri Paesi, per esempio la Germania, i coscritti venivano richiamati in base al distretto nel quale erano nati e in cui risiedeva l’unità in cui avrebbero prestato servizio. La scelta italiana trovava la sua ragione nel fatto che si voleva evitare che soldati e civili condividessero la stessa origine perché in caso di disordini, in cui l’esercito fosse chiamato a intervenire, si voleva evitare una fraternizzazione tra truppa e dimostranti. Particolarmente temuti, ha scritto lo storico Nicola Labanca, erano i romagnoli, rissosi e repubblicani. Per le unità alpine si fece eccezione: i primi richiami avvennero addirittura per valle. Per ragioni di praticità, senza dubbio. Ma anche perché della fedeltà dei montanari non si dubitava. Non solo in Italia, peraltro. Gli Alpini austriaci tirolesi presero addirittura il nome di Kaiserjäger, diventando di fatto una specie di guardia del corpo dell’imperatore. E in Germania l’Alpenkorps dei Gebirgsjäger bavaresi fu da subito un corpo scelto di fanteria d’élite su cui si poteva sempre contare.
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